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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


IL SENSO DEL GIUBILEO
Castello Estense: 12 marzo 1998


Consentitemi di dare inizio alla mia breve riflessione con una pagina di T.S. Eliot.
    Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo,
    Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: selezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo,
    Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.
    Quindi sembrò come se gli uomini dovessero procedere dalla luce alla luce, nella luce del Verbo,
    Attraverso la Passione e il Sacrificio salvati a dispetto del loro essere negativo;
    Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima,
    Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce;
    Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via.
T.S. Eliot, Cori da “La Rocca”, VII
 

 Eliot ci insegna che per capire il senso del Giubileo, dobbiamo partire da una presa di coscienza molto profonda della dimensione temporale della nostra vita; poi capire che cosa avviene dentro al tempo quando il Figlio di Dio si fa uomo.
 

1. ESISTENZA UMANA E TEMPO
 
 Partiamo da un’esperienza molto semplice, ma che dona molta materia di riflessione. E’ capitato a tutti che quando viviamo momenti di gioia particolarmente intensa, sentiamo dentro di noi la paura che prima o poi questo finirà e quindi sentiamo dentro di noi il desiderio che il tempo si fermi. A chi di noi non è mai capitato di dire: “è troppo bello perché possa durare!” Riflettiamo attentamente su questa esperienza. La pienezza della gioia, della vita è minacciata dallo scorrere del tempo: il fatto che la nostra vita sia come dis-tesa dentro il tempo, le impedisce di essere piena. Viviamo sempre una “parte” della nostra vita, un “momento” di gioia, un “attimo” di .... . E’ questo “passare” o “trascorrere” del tempo che costituisce una minaccia permanente.
 Proviamo ora a fare un piccolo sforzo di immaginazione. Immaginiamo che la nostra vita sia sempre ed esclusivamente questo scorrere del tempo, uno scorrere senza fine e perciò senza uno scopo. Nessuno, penso, ha espresso con più forza di Leopardi questa esperienza dell’uomo che si sente prigioniero del tempo, per esempio in Canto notturno d’un pastore errante dell’Asia (... Vecchierel bianco ...).
 L’uomo ha sentito questa “maledizione del tempo” e tutte le religioni hanno cercato, fuori dall’ebraismo e del cristianesimo, di liberarlo. In che cosa consiste questo progetto di liberazione? Nell’uscire dal tempo, nell’evadere dal tempo. Questa evasione può essere progettata in due modi.
 Il primo modo è proprio delle grandi religioni orientali. E’ necessario perdere se stessi, scomparire in un’unità senza forma. E’ questa la liberazione del mistico indù; è questa la beatitudine del buddhismo. L’uomo sarebbe pienamente liberato; sarebbe liberato perché viene meno a se stesso; sarebbe liberato precisamente in quanto non sarebbe più. La liberazione consisterebbe in una scomparsa della propria individualità nell’unità indifferenziata del tutto.
 Ma non è tanto su questo progetto di liberazione, che voglio attirare la vostra attenzione: esso non è presente di fatto nella nostra comunità. E’ sull’altro che voglio attirare la vostra attenzione, poiché esso è talmente oggi diffuso, da essere come una specie di “atmosfera” (pestilenziale) che tutti più o meno respiriamo.
 La liberazione dal tempo sembra possibile ed alla portata di mano, per così dire, di tutti, facilmente. Come? vivendo sempre e solo l’istante presente, senza darsi pensiero del futuro e cercando di dimenticare il passato. Un poeta latino pagano descrisse in modo mirabile questa soluzione, Orazio, nell’undicesima ode del primo libro.

“Non cercare di sapere, o Leuconoe (saperlo non è lecito) quale fine gli dei abbiamo assegnato a me, quale a te .... sii saggia ! ... restringi in un ambito breve le lunghe speranze. Mentre noi parliamo, sarà già sparita l’ora, invidiosa del nostro godere. Cogli la giornata d’oggi e confida in meno possibile in quella di domani.”
Il centro di questa proposta sta, negativamente, in quel taglio che si deve dare alla nostra esistenza (al nostro desiderio di vivere) dentro la misura del solo istante presente; positivamente, consiste nel vivere solo dentro l’istante presente.
 Una tale impostazione esistenziale, un tale “stile di vita” impedisce alla persona di vivere la propria esistenza come storia. Che cosa significa vivere la propria esistenza come storia? Partiamo da una esemplificazione molto semplice. Che cosa distingue uno scritto qualsiasi da un racconto vero e proprio? Il racconto ha una trama, cioè un susseguirsi ordinato di episodi che, collegandosi l’uno all’altro, conducono il lettore verso una conclusione che in un qualche modo deriva da tutto ciò che precede. Cioè: esiste una coerenza interiore nel racconto; questa coerenza è data da un filo conduttore; la narrazione va verso la conclusione. Dunque, abbiamo individuato almeno tre elementi che costituiscono la narrazione di una storia: coerenza - sviluppo - conclusione.
 Analogamente accade nella vita. Se la nostra vita è la somma di tanti istanti slegati fra loro, se la nostra vita manca al suo interno di un “filo conduttore”; se lo scorrere del tempo non va verso nessun fine, non ha alcuna direzione, la vita della persona è “sconclusionata”. Quale è il segno di questa condizione? Il bisogno di “evadere”. Poiché una vita così è veramente insopportabile, da essa bisogna uscire almeno qualche volta. E’ stata così costruita una grande “industria dell’evasione”. Prendiamo, a modo di esempio, in considerazione due “prodotti” di questa industria dell’evasione, scelti non a caso: capirete in seguito perché.
 Il primo di questi prodotti è stata la radicale trasformazione del significato del giorno festivo (della domenica). Esso è l’atteso momento in cui finalmente si dimentica la vita di ogni giorno: non è il momento per capirne il senso e viverla più intensamente, più appassionatamente di prima. Ed, infatti, quando si ricomincia, si aspetta con ansia la sera del venerdì seguente, quando finalmente si potrà “dimenticare”. In questo modo, si entra in un annoiato e/o disperato ritorno del sempre uguale: evasione per “sopportare” il lavoro settimanale; lavoro settimanale che aspetta l’evasione del fine-settimana. Non ha importanza che spesso si arrivi alla domenica sera molto più stanchi che riposati: l’essenziale è evadere, dimenticare. Vedete: quale significato ha lo scorrere del tempo per chi pensa  e vive così? in fondo, una maledizione da cui, quando è possibile, evadere.
 Il secondo prodotto dell’industria dell’evasione su cui vorrei attirare la nostra attenzione è la “commercializzazione del sesso” . Non pensate subito alla sua forma macroscopica. Esiste una forma molto sottile. Essa consiste nella riduzione della sessualità umana ad un “bene di consumo”. E’ il risultato di un processo culturale molto complesso, di cui possiamo solo richiamare l’essenza. E’ stato un processo si successive “separazioni”: del corpo dalla persona; della sessualità dall’amore, dal dono della vita. Il risultato è stato la considerazione della sessualità come divertimento: il segno è stato che ormai è del tutto pacifico che sessualità e matrimonio si possano separare.
Ho terminato questo primo punto della mia riflessione. Che cosa ho detto? Due cose, fondamentalmente. La prima: l’essere nel tempo in senso pieno (prigionieri di esso senza via di uscita) è un “peso” insopportabile per l’uomo. La seconda: l’unica redenzione dal tempo e del tempo che l’uomo abbia saputo progettare e vivere, è stata la fuga, l’evasione da esso. Una fuga ed una evasione che costa un prezzo molto altro: la perdita di se stesso.
 

2.  TEMPO ED AVVENIMENTO DI CRISTO

 All’uomo non è data altra via di uscita? Non c’è altra via? E’ accaduto un fatto fra gli uomini, che ha spezzato la prigione del tempo. Quale fatto? la chiamata di Abramo (cfr. Gen. 12,1-9). Dio entra nel mondo e spezza quel processo senza fine che è il tempo, pone fine alla narrazione umana priva di senso, e chiama l’uomo, Abramo, a Se stesso; lo chiama in un cammino irreversibile che tende verso una mèta lontana. E’ la storia! Il tempo umano è diventata una storia umana. La storia (ricordate l’esempio fatto nel numero precedente) in tanto esiste, in quanto realizza un processo, anzi un progresso. Ma è possibile un tale processo/progresso se Dio non interviene e non si pone come mèta, come fine? Come già abbiamo detto, non c’è storia, se il cammino non ha una direzione e quindi un traguardo. Ecco perché esiste una sola storia: la storia sacra. Cioè: la storia che si costruisce nell’iniziativa di Dio che interviene e nella risposta dell’uomo a questa iniziativa. Se Dio entra nel mondo tutto è nuovo: Egli spezza lo scorrere senza fine (cioè senza termine e senza scopo) del tempo. Egli chiama l’uomo e gli dona la capacità di superare il tempo (vedremo come) per trovare in Lui il suo fondamento, la sua stabilità e in Lui la sua mèta.
 L’incontro di Dio con Abramo è stato veramente l’avvenimento che ha cambiato il senso dello scorrere del tempo. Con Abramo comincia la storia. Ed, infatti, la vicenda di Israele è completamente diversa dalla vicenda, per esempio, dei Greci o dei Romani. La storia di Israele è un camminare verso l’adempimento della promessa, verso il “giorno di Jahvé”. “Mosso e portato dalla speranza che Dio gli aveva messo nel cuore, Israele si protende in avanti verso la salvezza futura: Dio non sarebbe il suo Salvatore, se Israele non lo attendesse nella speranza; e alla salvezza futura si incammina perché il tempo stesso ora, in una storia reale, non è più una maledizione per l’uomo, ma promessa. La salvezza farà uscire l’uomo da un processo senza fine, il processo del tempo porta Israele incontro al suo Salvatore” (D. Barsotti).
 E’ questo anche il “contenuto” della nostra esperienza cristiana? Non proprio! E siamo così giunti nel “centro” di questa nostra prima considerazione. In che cosa l’esperienza cristiana è diversa? In questo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Tutta, l’unica novità assoluta del cristianesimo è Gesù Cristo.
 Noi non viviamo nel tempo in cammino verso un adempimento che è soltanto promesso. Noi nel tempo possiamo incontrare l’eternità; nella dispersione del tempo possiamo vivere la pienezza della vita. Non ci è chiesto di evadere dal tempo; non ci è chiesto di andare oltre il tempo; non ti è domandato di incontrare Dio in sedicenti esperienze di oblio del tempo e della tua vita di ogni giorno. Perché Dio è nel tempo. Che cosa significa incontrare nel tempo l’eternità? Significa incontrare Gesù Cristo.
 L’esperienza cristiana non è rimando ad un futuro; non è una storia che si protende a un giorno che verrà e non è neppure il recupero di un passato che non ha più nessun rapporto col presente. E’ l’incontro con Dio che avviene, e può avvenire solo nell’istante che stai vivendo (in ciò che stai facendo), perché “il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra a noi”. Ed una volta entrato nel tempo, non ne esce più. Egli è sempre presente. In ogni istante tu puoi incontrarti con Lui (in ciò che stai facendo: lavoro, studio, divertimento, preghiera ...). Anzi il valore di ogni istante è precisamente l’incontro che deve sempre rinnovarsi: l’istante è la tua eternità. O si da questa coincidenza o è tempo perduto, tempo vuoto, come non fosse. Ascoltiamo le straordinarie parole di S. Giovanni: “Colui che ha il Figlio, ha la vita ... avete la vita eterna” (1Gv 5,12-13). E’ il senso profondo di quanto dice S. Paolo: “quando venne la pienezza del tempo...” (Gal 4,4). La pienezza del tempo: il tempo che, dopo e con la chiamata di Abramo, aveva cessato di essere un fiume senza foce, ora ha raggiunto la sua misura piena. E’ la misura che Abramo aveva già visto: e ne godette. Gesù Cristo non è venuto, il Verbo non si fece carne quando il tempo ha raggiunto la sua misura piena. Al contrario. Il tempo ha raggiunto la sua misura piena perché “il Verbo di fece carne”. Gesù Cristo è la pienezza del tempo.

CONCLUSIONE

 La Chiesa celebrando il Giubileo, vuole custodire intatta ed intensa la memoria dell’Evento in cui l’Eternità è entrata nel tempo, senza fare scoppiare il tempo, ma salvandolo. Questo punto di tangenza, anzi di ingresso, ha un nome: Gesù Cristo.