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Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


VI DOMENICA PER ANNUM (B)
S. VALENTINO - Giubileo dei fidanzati
Cattedrale di Ferrara
13 febbraio 2000

1. "Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "lo voglio, guarisci!". Subito la lebbra scomparve ed egli guarì". E’ questo il centro del racconto evangelico odierno: un ammalato di lebbra viene guarito da Gesù, che ha sentito compassione per quel disgraziato.

Per renderci conto di chi fosse ed in quale condizione fosse tenuto un lebbroso al tempo di Gesù, si deve sapere che egli doveva vivere completamente isolato da tutti; non poteva avere rapporti con nessuno ed era obbligato ad avvertire ad alta cove chi inconsapevolmente si fosse avvicinato. Non a caso il lebbroso era considerato un cadavere, ormai definitivamente separato dalla comunità.

In questo contesto comprendiamo il significato sconvolgente del gesto di Gesù. Egli stende la mano e tocca il lebbroso. E’ in forza di tale incontro-contatto con Cristo che il malato viene guarito. L’uomo viene pienamente reintegrato nella comunità: "va, presentati al sacerdote … a testimonianza per loro". Ha ritrovato la vita nella relazione cogli altri, perché è stato "toccato" da Cristo.

Non solo: "quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare a divulgare il fatto". Il lebbroso è stato restituito alla vita; l’uomo ha ritrovato se stesso: egli non può tacere l’esperienza che ha vissuto. Era morto ed è rivissuto: "la tua salvezza mi colma di gioia", come abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale.

2. Carissimi fidanzati, vi ho chiamato a celebrare i divini misteri con me questa sera. Il Signore vi ha donato, nella pagina evangelica, una parola stupenda. Quale? questa: l’uomo e la donna incontrando Cristo, sono restituiti alla pienezza della vita; ritrovano pienamente se stessi. Vi ho chiamato per dirvi questo! Consentitemi, dunque, di riflettere con voi alla luce del Vangelo appena proclamato, su questa grande esperienza umana di "essere restituiti alla vita", di "ritrovare pienamente se stessi": in Cristo.

All’inizio della vostra storia è accaduto un avvenimento in larga misura imprevisto: l’uno è stato come "preso" dall’altro. E ognuno dei due è stato spinto a coinvolgere tutte le energie della sua persona, la sua intelligenza e libertà, dentro a questo incontro, poiché ha avuto il pre-sentimento che gli venisse offerta una possibilità di realizzarsi prima inimmaginata. La presenza dell’altro/a è carica di una profonda attrattiva che provoca la libertà di ciascuno dei due ad una risposta che è desiderio del bene dell’altro e del bene proprio. La sorgente vera di ogni fidanzamento è questa reciproca "affezione".

Ed è questo il momento decisivo di tutta la storia seguente: quella storia che si chiama appunto fidanzamento. Ma questa storia, questo cammino può percorrere due strade molto diverse. Il fidanzamento cioè può essere vissuto in due modi molto diversi.

Il primo. Partendo dall’incontro che li fa affezionare l’uno all’altro, i fidanzati entrano in una relazione nella quale ciascuno impara ad essere se stesso, a crescere nella sua umanità, in rapporto all’altro: alla scuola dell’altro. E’ una crescita che ha una meta che è il matrimonio. Essa implica come attitudine fondamentale la fiducia reciproca. La parola stessa "fidanzamento" [da fidare, fidarsi] indica un pegno di fiducia, che comporta un affidarsi reciproco fra un uomo e una donna. Percorrendo serenamente e seriamente questo cammino, non possono non giungere al momento in cui la definitiva ed indissolubile consegna di sé all’altro diventa ineludibile: non ci si può non sposare.

Il secondo. Ma partendo dall’iniziale affezione, un ragazzo ed una ragazza possono anche percorrere un’altra strada. Ed è quella, lo dico con dolore, che molti vostri amici percorrono. Essendo incapaci di "fidanzarsi", cioè di fidarsi l’uno dell’altro nel cammino di crescita, credono di poter fare, di dover fare perfino, verifiche sperimentali. E’ l’errore fondamentale che, come una malattia mortale, sta rovinando l’umanità di tanti ragazzi e ragazze: voi capite di che cosa sto parlando. In questa situazione, in cui una libertà estenuata non è più capace di fedeltà e di fiducia perché ha sempre bisogno di "verifiche", nascono situazioni disastrose per la persona di tanti giovani: fidanzamenti (ma è ancora giusto chiamarli così?) che non finiscono mai; istaurazioni di convivenza dove l’uomo e la donna si comportano come sposi, ma nello stesso tempo si sono accordati a non esserlo; una sorta di convenzione più o meno tacita a far uso l’uno del corpo dell’altro.

Carissimi fidanzati, voi vedete come dall’iniziale affezione in cui le vostre persone si sono incrociate, possono derivare due vicende esistenziali molto diverse.

Perché vi ho invitato questa sera? Per dirvi che solo l’incontro profondo con Cristo può rendere la vostra libertà capace di "fidarsi-fidanzarvi" nel senso vero del termine. Egli infatti reintegra la persona umana nella capacità di istituire rapporti veri con l’altro; non ambigui, non falsi. E’ Cristo la radice dell’affezione fra l’uomo e la donna, poiché Egli solo può donarvi l’uno all’altro.

Ed allora concludo con l’invito di un Padre della Chiesa, S. Ambrogio: "Dunque tutto abbiamo in Cristo. Ogni anima gli si avvicini … Cristo è tutto per noi. Se vuoi curare una fatica, egli è medico; se sei riarso dalla febbre, è fontana; se sei oppresso dall’iniquità, è giustizia; se hai bisogno di aiuto, è forza; se temi la morte, è vita; se desideri il cielo, è via; se fuggi le tenebre è luce; se cerchi cibo, è alimento" [De Virginitate 99; BA 14/II, Cned., pag.80-81].