home
biografia
video
audio
english
español
français
Deutsch
polski
한 국 어
1976/90
1991/95
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
Comitato "Cardinale Carlo Caffarra"


EDUCAZIONE E RISURREZIONE DI CRISTO
STAB – BOLOGNA
14 febbraio 2002

L’enunciazione che avete voluto dare al nostro tema include i due termini essenziali della mia riflessione odierna: "educazione" e "risurrezione di Cristo". Essa intende vederne i rapporti: rapporti che sono condensati e sintetizzati nella virtù teologale della speranza.

L’articolazione del discorso risulta pertanto interamente designata. Nel primo punto cercherò di presentare una teoria in nuce dell’atto educativo; nel secondo punto cercherò di mostrarvi come l’evento della Risurrezione sia rilevante per l’atto educativo; nella conclusione sintetica vedremo come il tema della speranza unisca i due momenti precedenti.

1. Breve teoria dell’educazione

Vorrei partire da una constatazione molto semplice, che ciascuno di noi può fare, se appena fa un po’ di attenzione a ciò che accade dentro di sé.

Noi a volte agiamo con giustizia ed a volte non agiamo con giustizia, però se ci si chiede: "ma tu come vuoi essere trattato, qualche volta giustamente e qualche volta ingiustamente oppure sempre giustamente?" sono sicuro di quale sia la vostra risposta nel vostro cuore: sempre giustamente. Nessuno desidera di essere trattato ingiustamente, neppure qualche volta.

Noi diciamo la verità e non inganniamo il nostro prossimo, però qualche volta può capitare che mentiamo ed inganniamo il nostro prossimo. Se però qualcuno ti chiedesse: "e tu vuoi qualche volta essere ingannato?" sono sicuro che nessuno seriamente risponderebbe che gli piace, desidera essere ingannato.

Potrei continuare con questi esempi. Mi fermo, perché questi sono sufficienti a farci fare una incredibile scoperta su noi stessi. Ciascuno di noi sa distinguere fra "agire con giustizia-agire con ingiustizia", fra "essere nella verità-essere ingannati". Non solo ma ciascuno di noi desidera la giustizia, la verità. Dunque: la persona umana possiede questa mirabile capacità di conoscere giustizia/ingiustizia, verità/inganno e di desiderare l’una a preferenza dell’altra.

Ma la scoperta non si ferma a questo punto: pur desiderando la giustizia, noi possiamo voler trattare un altro con ingiustizia; pur desiderando la verità, noi possiamo decidere di ingannare un altro. Può cioè accadere come una "spaccatura" dentro di noi fra ciò che conosciamo e desideriamo e ciò che di fatto facciamo. Questa "spaccatura" non è opera del caso: è opera di ciascuno di noi, è opera nostra. Dunque: la conoscenza-desiderio (la giustizia, la verità...) chiedono alla nostra persona di realizzarsi concretamente. Fanno appello a "qualcosa" che è in noi. Questo qualcosa ha un nome e si chiama libertà. E’ la capacità di compiere o non compiere il "desiderio" che abita dentro la nostra persona.

Vedete che da quei semplici esempi desunti dalla nostra quotidiana esperienza abbiamo scoperto chi siamo: siamo un grande "desiderio" (di giustizia, di verità, di amore...) la cui realizzazione è affidata alla nostra "libertà". Possiamo dire la stessa cosa in questo modo: siamo pellegrini della beatitudine mossi dalla nostra libertà.

Ma sento già che qualcuno si chiederà che cosa c’entra tutto questo con l’educazione. Ecco: ora vedremo subito che la persona umana ha bisogno, chiede di essere educata precisamente perché è "pellegrina-mendicante della beatitudine": un pellegrinaggio che deve essere compiuto dalla sua libertà.

Ve lo farò vedere partendo da una delle pagine più "suggestive" di tutto il Vangelo: l’incontro di Maria ed Elisabetta. C’è un particolare di struggente bellezza. Fra i milioni di esseri umani che popolavano la terra, ne era arrivato uno che era unico, che era atteso da millenni: era il Figlio di Dio venuto ad abitare fra noi. Nessuno lo aveva sentito presente: solo sua madre. Le due donne si incontrano. E che cosa succede? Quella persona umana che era nel ventre di Elisabetta "sussultò di gioia" perché aveva sentito che nel mondo era presente Dio stesso: vicino a lui. Anche quel bambino entrato nel mondo, aveva iniziato il suo "pellegrinaggio verso la beatitudine", come ogni persona umana. Che cosa gli successe? Gli successe di sperimentare una Presenza che introdusse nel suo cuore un "sussulto di gioia". E Giovanni non dimenticò più quel "sussulto di gioia". Divenuto adulto, egli morirà a causa della giustizia e della santità dell’amore coniugale.

Proviamo ora a raccogliere assieme gli elementi fondamentali di questa straordinaria vicenda. Una persona sta entrando nel mondo: ed abbiamo visto quale è l’ "equipaggio" di cui è dotata. Anzi chi è: un pellegrino-mendicante di beatitudine, affidato alla sua libertà. Egli dentro a questo mondo scopre una Presenza, la Presenza di Qualcuno. La scoperta genera in lui un sussulto di gioia: la certezza che il suo desiderio non è deluso, che il suo pellegrinaggio non è verso il nulla. Egli ha potuto scoprire questa Presenza perché una donna gliela ha fatto "sentire vicina".

Ebbene, questi sono gli elementi fondamentali della "comunicazione educativa". Una persona umana che, entrando nel mondo, comincia il suo pellegrinaggio verso la beatitudine, essa chiede di essere "aiutata" ed incontra altre persone. Queste le fanno sentire/non le fanno sentire una Presenza. In questa "comunicazione", la nuova persona raggiunge/non raggiunge la piena libertà di camminare.

Il "punto essenziale" di questo avvenimento che è l’educazione, è di capire bene che cosa significano le parole: "persone che le fanno sentire/non sentire una Presenza". Questo infatti è il "cuore" del rapporto educativo.

Cercherò ancora una volta di spiegarmi con qualche esempio.

Voi sapete che uno dei momenti più difficili di tutta la nostra vita, sono stati i primi giorni della nostra vita. La difficoltà consisteva nel trovarci dentro ad una realtà completamente diversa da quella in cui si viveva nel corpo materno. In una parola: la difficoltà del contatto colla realtà. Fermiamoci un momento a riflettere su che cosa significa "contatto colla realtà", partendo sempre da esperienze molto comuni.

Se mi capita di posare la mia mano su una piastra bollente, sento un terribile dolore e ritiro immediatamente la mia mano. Ho avuto un contatto colla realtà, un contatto puramente fisico. Esso è abitato, dominato dal principio del piacere/dolore. E’ l’unico contatto possibile questo colla realtà? Voglio ora farvi un altro esempio, raccontando quanto accade quando uno si innamora.

Incontra tante persone, alcune non le conosce neppure; altre le conosce. Ma ad un certo momento, una di queste appare "diversa da tutte le altre", e fra le mille conosciute "unica, insostituibile". Che cosa è accaduto? Ha visto in quella persona "qualcosa" che non aveva visto in nessun altro e che gli ha fatto esclamare: "oh come è bello che tu esista!" e alla fine: "come è bello vivere!". Ha fatto l’esperienza di una Presenza dentro alla realtà concreta, che ha fatto "sussultare di gioia".

Che cosa vuol dire "la persona ha bisogno-chiede di essere educata"? Vuol dire: ha bisogno-chiede di entrare in contatto colla realtà in modo da sentire in essa una Presenza che la faccia "sussultare di gioia", che le dia la certezza che vale la pena vivere, proprio a causa di questa Presenza. Educare significa introdurre la persona nella realtà in modo che essa si senta come accolta da un Destino buono.

Da quanto ho detto finora risulta che l’educazione può accadere solamente all’interno di un rapporto fra persone, di una "comunicazione indiretta" che va da "persona a persona". Vorrei spiegare un poco questo punto e così concludere questa prima parte della mia riflessione.

Esiste una comunicazione diretta fra le persone e vi spiego subito in che cosa consiste. Quando un insegnante vuole insegnare a fare la divisione, insegna al bambino alcune regole. Se l’insegnante è brava ed il bambino sta attento ed è un poco intelligente, capisce quelle regole ed ha imparato a fare la divisione. C’è stata una comunicazione (di un sapere, in questo caso) e diretta, nel senso che alcune conoscenze sono state apprese attraverso alcuni semplici ragionamenti.

Ora facciamo un altro esempio. Un ragazzo si rende conto presto che egli nel suo cuore ha un profondo desiderio di giustizia e che nel mondo molti agiscono con ingiustizia, per cui prima o poi si vede nella situazione di dover scegliere se subire un’ingiustizia o compierla per non subirla. E si chiede: è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla? È meglio essere ingannati piuttosto che ingannare? Come si fa a convincere il ragazzo che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla? Cioè: che essere giusti, essere nella verità è ciò che esiste di più prezioso, bello e degno di essere cercato e voluto. E’ solo la fiducia fatta alla persona che lo educa che cioè gli fa la proposta secondo la quale nella vita è meglio donare che ricevere. E’ una comunicazione indiretta.

Vorrei ora riprendere tutto quanto ho detto finora in forma piuttosto narrativa, riesprimendolo in forma più concettuale.

S. Tommaso d’Aquino insegna continuamente che il primo atto del nostro spirito, il suo primo risveglio per così dire, è costituito da ciò che egli chiama "apprehensio entis". Non si tratta di una priorità semplicemente cronologica, ma di quell’attitudine che genera tutta la vita dello spirito e della persona. Biologicamente questa inizia quando si incontrano le due cellule germinali. Spiritualmente la persona comincia a vivere quando si incontra colla realtà nel modo indicato da Tommaso come "apprehensio entis". E’ l’apertura alla realtà, all’essere di ciò che è. Lo spirito non inizia il suo cammino con una domanda, ma con una constatazione.

Questa "apprehensio entis" suscita un profondo stupore che genera la domanda radicale: quale è il senso di tutto questo? La domanda sul senso è domanda se il reale abbia un significato [domanda sulla verità: che cosa è?] ed è domanda se il reale meriti di essere voluto o rifiutato [domanda sul bene: che valore ha?]. E’ la domanda metafisica e la domanda etica. Esse in sostanza sono una sola domanda: la domanda di essere introdotta dentro la realtà.

2. Educazione e risurrezione di Cristo

Nella sostanza la teoria dell’atto educativo che ho cercato di schizzare nel punto precedente non è per sé una teoria cristiana, anche se il cristianesimo la farà profondamente propria. E’ la teoria socrativa, anche se – come sappiamo – attribuire qualcosa a Socrate è sempre problematico.

Ora dobbiamo considerare la stessa cosa, l’atto di educare una persona dal punto di vista cristiana. Più precisamente dal punto di vista dell’affermazione centrale della fede cristiana: l’affermazione che Gesù morto crocefisso è risuscitato. Presuppongo qui, per non allungare troppo il discorso, tutto il contenuto che nella fede cristiana ha quell’affermazione.

Per chiarezza e brevità enuncio la tesi centrale che esprime la comprensione che ho del rapporto fra l’educazione e la Risurrezione di Cristo: se Cristo non è risorto, l’atto educativo è incapace di rispondere all’esigenza fondamentale in vista della quale esso è richiesto. Detto positivamente: è il fatto della Risurrezione di Cristo che realizza pienamente l’atto educativo.

Riprendiamo con maggior profondità il discorso del punto precedente, nella sua ultima parte. La ricerca de senso, meglio la ricerca del fondamento ultimo della realtà è ciò che definisce la nostra ragione stessa: essere ragionevoli significa non porre limiti alla domanda che è in tutte le pieghe della vita, dentro a tutte le sue esperienze fondamentali: il lavoro, gli affetti, l’amicizia, la malattia …

Questa ricerca si scontra con due difficoltà insormontabili, ambedue dovute all costituzione stessa dell’uomo: insormontabili proprio perché l’uomo non può essere che ciò che è.

La prima è dovuta alla sua costituzione di creatura e persona-corpo. La ricerca del fondamento ultimo, che tutti i popoli hanno chiamato Dio, non può che giungere ad una scoperta del medesimo che può essere solo mediata: come in uno specchio, dice Paolo. Ciò che l’uomo conosce direttamente ed immediatamente è solo questo mondo con cui è in contatto. Ma l’uomo ha un desiderio di vedere il suo Volto. Di qui la sua esposizione all’insidia continua dell’idolatria.

La seconda è dovuta al fatto della morte. Il senso della vita dipende ultimamente dal senso della morte, e tutta la serietà del vivere dipende dalla verità della morte. Se infatti il senso della morte fosse quello della fine pura e semplice della vita, questa vita perderebbe in larga misura la ragione di essere vissuta. O meglio: perderebbe la ragione di essere vissuta seriamente. Le analisi di Pascal sono al riguardo incontrovertibili.

Ora di fronte alla morte l’uomo, lasciato a se stesso, ha sempre barcollato nel buio. E’ vero che la sapienza pagana ha pure raggiunto un qualche barlume di luce. Ma al riguardo bisogna tener presente che la certezza non fu mai raggiunta, come dimostrano le parole drammatiche di Socrate alla fine del suo processo. Non solo, ma restava comunque l’impossibilità assoluta di salvare dalla catastrofe ontologica il corpo dell’uomo, che pertanto veniva privato di ogni appartenenza alla persona. Oppure – come in Aristotele – restava il dubbio se ciò che rimaneva dopo la morte fosse il proprio io oppure un impersonale realtà spirituale.

Questa impossibilità per l’uomo di dare una risposta certa alla domanda sul significato ultimo, sul Fondamento della realtà ha sempre generato una radicale incertezza nell’esercizio dell'attività educativa: in quale realtà devo introdurre la persona umana che mi chiede di essere educata? Lo scontro, per esempio, fra Socrate e Calliche nel Gorgia di Platone è assai significativo anche oggi, proprio dal punto di vista del problema che stiamo affrontando. La convivenza umana che cosa è alla fine? Uno scontro in cui ha ragione chi è più forte? Fa veramente bene Socrate ad educare a ciò che chiama "giustizia"? non abbiamo purtroppo tempo di fermarci ulteriormente su quelle pagine platoniche. L’educazione è sempre insidiata dal pericolo che basti alla fine insegnare alcune regole di comportamento e ad un "saper fare": il resto, tutto il resto è opinabile.

Dentro a questa difficoltà radicale in cui versa l’atto educativo si pone precisamente il fatto della Risurrezione di Cristo.

Essa mostra che la morte è stata definitivamente vinta e che all’uomo è dato di accedere alla "sorgente della vita". Essa mostra che Dio stesso è venuto, così che il desiderio di beatitudine che è nel cuore trova il suo compimento.

L’educazione cristiana introduce dentro alla realtà in tutta la pienezza del suo significato positivo, perché nasce dalla certezza della fede che Dio è venuto a condividere la nostra morte per farci vivere della sua stessa vita.

Conclusione

Sia la sapienza pagana sia la sapienza cristiana hanno sempre affermato due verità: la realtà ha una sua propria intelligibilità; la ragione umana è costitutivamente orientata [intenzionata] alla realtà intelligibile. L’atto del capire è l’incontro fra realtà e ragione.

Ora questa duplice certezza è rifiutata: la realtà non ha nessuna intrinseca intelligibilità ed è la ragione la creatrice di ogni senso. Una ragione che non può che finire col ridursi ad essere mera opinabilità.

E’ stata questa una vera catastrofe culturale perché ha privato l’uomo di ogni possibilità di sperare: l’uomo affidato a se stesso non può che fare affidamento su se stesso.

La nostra "educazione alla speranza" implica e presuppone un ingente sforzo culturale di far uscire l’uomo dal deserto del suo nichilismo. Ciò è possibile fino in fondo perché Cristo è risorto.